Intervista a Paolo Vanni, responsabile del servizio
Quanti sono in media i casi che seguite durante un mese?
Il “Posto Giusto”, centro di accoglienza, ascolto, gestione dei conflitti e mediazione, è accessibile gratuitamente sul territorio chierese da ottobre 2008. Nel corso di questo periodo sono state all’incirca novanta le situazioni prese in carico dagli operatori del centro: ciò in particolare negli ultimi mesi di attività considerato che nel 2009 gran parte delle energie è stata spesa per l’avvio del centro. Occorre specificare, che ciascuna situazione implica il coinvolgimento delle diverse parti coinvolte nel conflitto e la conduzione di numerosi colloqui preliminari, oltre agli incontri di vera e propria mediazione.
Più situazioni familiari, beghe condominiali o casi di altro genere?
Le persone che si rivolgono a Il Posto Giusto portano contrasti di varia natura e non si registra una netta maggioranza di specifiche tipologie. Generalmente vengono raccontati conflitti con familiari, conviventi e non, e con vicini di casa, ma non mancano controversie tra commercianti e clienti o riguardanti gruppi di persone. Abbiamo registrato inoltre una significativa ricerca di sostegno in un periodo, quale quello attuale, di particolari difficoltà individuali, rispetto alle quali le persone hanno ricevuto ascolto e accompagnamento ai servizi presenti sul territorio.
Avete dei clienti appartenenti in maggioranza ad una determinata fascia di età, ceto sociale o nazionalità?
La maggior parte degli utenti del centro è di nazionalità italiana, residenti a Chieri o nei Comuni limitrofi, con un’età compresa tra i 35 e i 55 anni, ma hanno usufruito del servizio anche persone più giovani o più anziane, anche se in misura minore. Rispetto all’appartenenza ad un determinato ceto sociale, possiamo affermare che quest’ultimo non è una caratteristica indicativa dell’utenza che abbiamo accolto, a conferma del fatto che le incomprensioni e le difficoltà nei rapporti riguarda tutti indistintamente. Gli stranieri sembrano non usufruire ancora di questo tipo di servizi e preferiscono affidarsi a mediatori delle loro comunità.
E il livello di cultura?
Il discorso fatto precedentemente vale anche per il livello di cultura posseduto dalle persone che accedono a Il Posto Giusto. Aver conseguito una laurea piuttosto che il diploma di terza media non ha particolari influenze sulla possibilità che si entri in conflitto con un familiare o un vicino di casa: si è qui nel territorio delle emozioni e dei sentimenti, comune a tutti gli individui.
Avete legami con il centro di mediazione dei conflitti del Gruppo Abele?
Sì, il Presidente della Coop. Co.Me. – Conflict Mediation (che ha attivato con finanziamento pubblico il servizio) è il Prof. Duccio Scatolero, esperto di fama internazionale in gestione e mediazione dei conflitti e fondatore della Casa dei Conflitti del Gruppo Abele.
Può descrivermi alcune tipologie di casi, che siete in grado seguire con successo?
Nell’esperienza maturata in anni di gestione di conflitti possiamo affermare che ciascun conflitto ha la sua specificità ed è difficile ricondurli a tipologie ben precise. Si può tuttavia dire, con una certa sicurezza, che il successo di una mediazione dipende da differenti fattori, tra cui soprattutto l’adesione volontaria e motivata dei confliggenti al percorso e la capacità del mediatori nell’aiutare le parti a ristabilire una comunicazione ormai distorta o interrotta da diverso tempo. La gestione della conflittualità tramite un percorso di mediazione può avvenire indipendentemente dalla tipologia di conflitto portato, salvo restando che le parti siano realmente interessate a trovare una qualche via d’uscita. Diciamo che ci sono conflitti con difficoltà diverse di gestione, alcuni dei quali possono essere gestiti anche “solo” con un ascolto ben fatto di una delle parti coinvolte, intervento questo che spesso introduce già di per sé degli elementi modificativi della situazione conflittuale. A volte situazioni bloccate richiedono solo una piccola spinta per essere rimesse in movimento. Nel concreto, possiamo riferirci, per fare un esempio, ad uno dei conflitti gestiti al centro, avente come oggetto una disputa tra vicini di casa “in lotta” da diverso tempo per questioni inizialmente legate a presunti rumori eccessivi. È stato possibile incontrare, dapprima separatamente, entrambi i configgenti, i quali hanno raccontato ciascuno il proprio punto di vista sulla situazione, portando un grande carico di rabbia e sofferenza per una situazione divenuta ormai insostenibile. La disponibilità delle parti all’adesione al percorso ha permesso di ristabilire, al tavolo di mediazione, una comunicazione centrata non più sui fatti, ma sulla comune difficoltà nel vivere serenamente una convivenza civile con il proprio vicino. Si assiste spesso all’incontro e alla comprensione delle reciproche difficoltà e sofferenze, elementi questi centrali in una risoluzione positiva del conflitto.
E un paio di situazioni in cui non potete essere d’aiuto? Perché?
La mediazione è un percorso cui possono accedere tutte le persone che abbiano un conflitto in atto, a patto che posseggano capacità cognitive ed emotive preservate, essendo centrale e necessario poter ristabilire la comunicazione tra le parti. Risulta quindi molto complicato portare al tavolo di mediazione persone che abbiano, ad esempio, problemi legati all’uso o abuso di sostanze psicotrope o che presentino disturbi psicologici di grave entità.
La mediazione dei conflitti è un servizio gratuito e quindi concorrenziale rispetto alla giustizia tradizionale?
Occorre in primo luogo distinguere la situazione italiana da quella di altre nazioni europee in materia di mediazione. In Italia le pratiche di mediazione dei conflitti, ancora in crescente divenire, sono per lo più gratuite e affidate nella loro gestione al privato sociale, mentre in alcuni Paesi dell’Unione Europea si è assistito ad una vera e propria professionalizzazione della figura del mediatore nei più diversi ambiti di applicazione: sociale e di comunità, scolastico, familiare, aziendale, ecc... solo per citarne alcuni. La mediazione si configura come pratica alternativa, complementare e non sostitutiva alla giustizia ordinaria; la complementarietà con la gestione giudiziaria del contenzioso emerge, ad esempio, nella facoltà del Giudice di Pace di sospendere il processo per inviare i confliggenti ai centri di mediazione esistenti sul territorio al fine di comporre la controversia in atto, pratica questa da tempo sperimentata in alcune zone del Paese (vedi ad es. Milano). La realtà è sempre in movimento visto che qualche settimana fa è stato presentato un progetto di legge del Ministero della Giustizia sull’attività di una sorta di “mediatore di Stato”.
E’ più veloce?
E’ un percorso caratterizzato da tempi brevi, consistendo in un primo tempo in un colloquio preliminare di ascolto per ciascuna delle parti coinvolte nel conflitto, cui segue, anche se non necessariamente, l’incontro di mediazione vero e proprio alla presenza di tre mediatori. I tempi per la conclusione del percorso si attestano all’incirca sui 30-45 giorni.
Qual è la formazione professionale degli operatori?
Gli operatori che lavorano a Il Posto Giusto possiedono una formazione specifica alla gestione dei conflitti e mediazione, indipendentemente dalla loro “carriera” di studi universitari. Tale formazione è stata fornita dal Prof. Scatolero che per più di dieci anni è stato docente al Master Internazionale in Mediazione organizzato dall’Istituto Universitario K. Bosch di Sion in Svizzera. Operano nel centro psicologi, educatori e criminologi, nonché personale volontario in formazione.
Noria Nalli |